La conoscenza medica passa dalla stampa 3D
I batteri sono ovunque: anche se non visibili a occhio nudo si trovano su ogni maniglia, su ogni macchina, su ogni oggetto del nostro quotidiano, perfino sulle nostre mani. Generalmente se ne stanno tranquilli, in attesa del momento migliore per colpire. Quando questo succede spesso dipende dal fatto che i batteri si sono coalizzati, formando una colonia che è la ricetta perfetta per problemi, malattie e infezioni. Prevenire o curare tutto questo è tanto più difficile quanto meno si conosce del nemico da affrontare. A dover reperire queste informazioni sono i ricercatori medici.
Che cosa c’entra tutto questo con la stampa? Di base quasi nulla. Senonché un gruppo di ricercatori dell’Università del Texas, guidati dal Dr Jason Shear, hanno ideato un nuovo metodo di ricerca scentifica basato sulla stampa 3D. La tecnica, denominata Multiphoton Lithography, sfrutta i principi base della stampa 3D convenzionale, ma invece di usare materiali termoplastici, il laser scolpisce gelatina all’interno della quale ci sono batteri. Questo permette di creare colonie batteriche delle dimensioni e forme desiderate, che vengono poi usate come terreni di studio. Col vantaggio che l’uso del laser rende inestricabilmente legate le molecole colpite, che mantengono quindi la forma voluta anche in condizioni ambientali differenti.
Quanti batteri servono per formare una colonia? Che forma e che dimensioni deve avere questa affinché i suoi membri smettano di agire come singoli e comincino ad agire come un gruppo? Sono solo alcune delle domande a cui è possibile rispondere grazie a questa tecnica. Uno dei test finora effettuati ha visto i ricercatori stampare in 3D colonie sferiche di Staphylococcus aureus, dividerle in due gruppi e proteggerne solo uno dei due con una sfera di colonie di Pseudomonas aeruginosa. Alla fine del processo i ricercatori hanno inondato entrambi i gruppi di antibiotico. Le colonie di Staphylococcus aureus che avevano la protezione hanno mostrato un tasso di sopravvivenza dell’80%, quelle prive del 40%: in sostanza, la collaborazione fra batteri li rende più forti. E questo è ovviamente solo la punta dell’iceberg di quello che può essere scoperto con questa tecnica.
“E’ un metodo attualmente piuttosto costoso“, ha affermato il dr Shear, “ma stiamo lavorando anche su soluzioni alternative, come un laser più a buon mercato. E comunque ritengo che, come per la stampa 3D commerciale, i prezzi si abbasseranno drasticamente nel prossimo futuro.”