Libri, ripensare la supply chain è la scommessa di domani. Di Edoardo Morso
Il primo dato allarmante che ha colpito la mia attenzione è il drammatico calo di quelli che vengono definiti “lettori forti”; per capirci chi acquista più di 12 libri l’anno è stato nel 2011 il 12% della popolazione contro il 14% dell’anno precedente. Certamente il calo generalizzato del fatturato nel mercato del libro è del tutto coerente con il clima macroeconomico negativo e in particolare con la diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie italiane. A questo si aggiunga che il termine di paragone è fatto con il 2010, anno particolarmente ricco di libri best seller facenti parte di saghe che hanno spopolato nelle librerie di tutto il mondo.
A mio avviso registrare il generale calo del settore è importante ma non quanto esaminare le dinamiche di acquisto del lettore italiano e paragonarle con quanto avviene nel resto del mondo. L’Italia è al sesto posto nel mondo per fatturato e all’ottavo per numero di titoli pubblicati. Davanti a noi Paesi la cui lingua è la più diffusa al mondo o con popolazioni molto superiori alla nostra.
Ci troviamo in un momento storico, per il libro, molto particolare e delicato in cui tutto il settore si interroga su quali potranno essere gli scenari prossimi futuri. La vertigionosa crescita di fatturato derivante dagli e-Book negli Stati Uniti e il moltiplicarsi di dispositivi di lettura digitale ci hanno fatto tremare i polsi, immaginare scenari catastrofici soprattutto per chi lavora nell’industria del libro tradizionale. In realtà in Italia, sebbene i dati di vendita di e-Book sono in crescita non presentano gli stessi trend di altri paesi.
Leggendo il rapporto dell’AIE scopriamo che siamo un popolo devoto all’utilizzo di smartphone (su questo fronte non ci batte nessuno) con una percentuale di utilizzo del 31,9% contro il 22,9% del UK e solo il 18,2% degli Stati Uniti. Soltanto una riga più in basso però scopriamo che solo il 53% delle famiglie italiane ha accesso a Internet (77% in UK , 79% in Germania). La differenza si fa ancora più drammatica se parliamo di accesso alla banda larga. Questa scarsa familiarità con il web rende, a mio avviso, molto più complessa la diffusione del formato digitale del libro che ha ancora un’offerta in termini di titoli molto più limitata rispetto al mercato tradizionale.
Quote di mercato per canale
Rimane allora molto importante, per quanto possa essere in contrazione, valutare i dati relativi alla forma cartacea del libro. Comincerei nell’esaminare come il nostro cliente finale, il lettore, entra in possesso del libro. Secondo i dati dell’AIE la crescita più imponente è rappresentata dalla vendita on-line che registra circa un +24% rispetto all’anno precedente. Crescono, ma in maniera molto più contenuta, anche la vendita in libreria presso la GDO ed in Edicola, tutti con valori che non superano il 5%. Di tutte le forme distributive mi preme analizzarne due in particolare sulle quali mi sento discommettere per i prossimi anni: la vendita on-line e la libreria. L’indagine AIE è sicuramente antecedente all’ingresso nel nostro mercato di Amazon e, quindi, non mi stupirei di vedere numeri che nei prossimi anni cresceranno ancor di più. Non credo che Amazon sia più brava degli altri operatori già presenti sul mercato italiano (BOL e IBS fra tutti); credo però che l’approccio della piattaforma Amazon renderà più familiare al consumatore web acquistare prodotti siano essi dvd, orologi, computer o libri. Penso che il mercato on-line non sia molto diverso in questo dal mercato tradizionale e agisce su un modello comportamentale del consumatore invariato da decenni: se mi trovo bene in un negozio tendo a ritornarci. Nel caso di Amazon penso che questo sia vero sia per la loro strategia di prezzo sia per la loro ampiezza di offerta.
Il mercato delle librerie
L’altra forma di distribuzioneinteressante da analizzare è quella della libreria. Negli anni passati abbiamo assistito al proliferare delle megalibrerie associate o meno ai centri commerciali. Credo che questo modello non continuerà ad avere grande successo vista la scarsa professionalità di chi ci lavora e che quindi l’abitudine di acquisto del cliente si basa sul “fai da te”. Sono certamente state grandi avversarie delle librerie di quartiere nel momento in cui l’offerta che proponevano era più vasta. Domani, forse, l’offerta più vasta sarà quella on-line e credo che dopo anni bui ritorneranno a prendere piede le librerie dove il libraio ti conosce, conosce i tuoi gusti e sa cosa suggerirti. Penso che potranno anche svilupparsi dei modelli intermedi e qualche esperimento è già in atto, ad esempio nel Regno Unito, dove James Daunt è stato ingaggiato da Waterstone’s per risanare il drammatico tracollo di questo gigante delle librerie modello megastore. La sua formula è quella di personalizzare ogni store in funzione della zona geografica dove opera, modellando in questo modo la scelta dei libri in funzione delle attitudini di acquisto. In aggiunta a questa la selezione di un personale di staff competente in grado di interagire in maniera intelligente con il cliente. Penso che da noi questa funzione, in piccolo, sia la formula della libreria di quartiere che può vendere quello che on-line non trovi: l’accoglienza ed il consiglio (intelligente) non il semplice accostamento algoritmico tanto caro ad Amazon ed Apple: siccome ti è piaciuto un testo di psicologia ora ti propongo tutto quanto a questo si abbina.
La stampa digitale
Ho voluto analizzare i meccanismi distributivi per arrivare, in ultimo, a parlare di stampa digitale in quanto credo che i due argomenti siano strettamente collegati. Partendo dal dato AIE che misura in più di 3.000 copie la tiratura media dei libri pubblicati credo di non essere lontano dal vero affermando che non superano le 500 copie di media le vendite di ogni singolo titolo pubblicato (considerando tutto il ciclo di vita). Questo dato credo sia decisamente allarmante sia per i 7.590 editori censiti dall’AIE nel 2010 sia per noi stampatori. Se da un lato il diffondersi delle for-me di self publishing ha dato nuovo impulso alla stampa digitale, mi sembra ancora scarso il suo utilizzo nel settore editoriale. L’evidente spreco di risorse che si genera nel differenziale tra il tirato e il venduto non fa altro che impoverire gli editori con evidenti gravi ripercussioni sulla qualità intrinseca del prodotto libro.
Ho letto con dispiacere, a pagina 29 del rapporto, che l’ultima indagine sul mercato del Print on Demand risale al 2008 che allora rappresentava il 6,9% della produzione del mercato di varia adulti nei canali trade. Penso sia utile per tutti gli operatori della filiera sapere come si è evoluta questo settore e quali novità oggi propone in termini di soluzioni tecnologiche ed infrastrutture informatiche.
La scommessa di domani
Ritengo che, a parte la fascia alta dei libri, la cui vendita è sicura ancor prima che gli stessi siano chiusi in tipografia, vi siano delle grandi potenzialità per tutti i piccoli e medi editori nel prossimo futuro. Magari aiutati dai soggetti che ho menzionato prima: librerie al dettaglio e grossi store online di nuova generazione, i piccoli editori possano uscire dalle logiche di produzione massificata e concentrare le loro risorse su tirature più limitate ma di quasi sicura vendita. Ripensare integralmente tutta la supply chain del libro è la scommessa che abbiamo davanti a noi per dare nuovo impulso al libro senza mai dimenticare che la sua qualità non dipende solo dalla carta, dalla copertina o dalla rilegatura ma soprattutto dal suo contenuto e per questo ci servono, sempre di più, editori bravi e qualificati; altrimenti non rimane che sperare che qualche “sfumatura di grigio” risollevi da sola il mercato.
Questo articolo è uscito sul numero di settembre di DDm. Per vederlo in versione online clicca qui.