Chiudono gli uffici postali periferici, un’opportunità per il settore
Il 29 aprile 2011 appariva in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo che dava ufficialmente il via alla liberalizzazione postale. Un provvedimento sicuramente importante, storico per certi versi, che sanciva la fine di un monopolio, quello di Poste Italiane, e apriva il settore alla libera concorrenza. E questo anche se da più parti si espresse perplessità per la scelta di affidare, col medesimo decreto legislativo, la fornitura del servizio universale alla stessa Poste Italiane.
I gruppi e le società che a seguito di questo provvedimento hanno deciso di lanciarsi nell’arena si sono però scontrati con notevoli difficoltà, sia a livello economico che a livello di presenza sul territorio. Problemi che dopo quasi venti mesi sono ben lungi dall’essere risolti e che hanno generato non poche tensioni. Tant’è vero che non è ancora risolta la controversia che vede impegnata Poste Italiane da un lato e Tnt Post e l’Antitrust dall’altro, con la prima accusata di abuso di posizione dominante e già condannata a una pesante multa di 40 milioni, bloccata dall’intervento del Tar del Lazio su ricorso di Poste.
In questo momento la storia della liberalizzazione postale in Italia apparentemente parla di litigi, dispute e accuse. In realtà è la storia di parecchie occasioni mancate, di una situazione che avrebbe potuto essere e che, per svariati motivi, non è. Ed è un genere di storia che, a guardar bene, tocca solo a chi nel settore ci è coinvolto direttamente.
Perché la gente comune, quando si parla di poste, pensa immediatamente al logo giallo e blu di Poste Italiane. La brand awarness di Poste presso il privato cittadino è molto elevata e la situazione che tanti comuni d’Italia stanno vivendo in queste settimane ne è prova lampante.
Con le parole d’ordine di razionalizzazione e riorganizzazione Poste Italiane sta procedendo a chiudere tanti uffici postali periferici. Una misura che era stata annunciata diversi mesi orsono, ma che ora viene attuata quasi a sorpresa, senza troppa informazione. E contestualmente a un aumento di tariffe anch’esso assai poco pubblicizzato.
Dal Friuli Venezia-Giulia all’Abruzzo, dalla Toscana alla Liguria sono tante le voci che si levano per protestare contro questa mossa.
Luigi Bussalai, assessore ai piccoli comuni della Provincia di Savona, ha dichiarato che la decisione di Poste “penalizzerà in modo preoccupante i cittadini”, aggiungendo che “Non si può trascurare l’importanza sociale ed economica rivestita dagli uffici postali dislocati nei piccoli centri, luoghi che soprattutto per l’utenza più anziana rappresentano veri e propri punti di riferimento. La loro chiusura trasformerebbe radicalmente il quotidiano degli abitanti dei comuni più piccoli e delle loro frazioni, che per diversi motivi hanno difficoltà di mobilità verso i grandi centri”.
In Friuli il consigliere regionale Paolo Pupulin ha affermato con forza che le proteste dei cittadini contro la mossa di Poste sono giuste, “per il venir meno di un servizio indispensabile soprattutto in località che già soffrono la mancanza di servizi pubblici essenziali”.
Ci saranno luoghi dove la protesta locale sortirà gli effetti sperati e gli uffici non saranno chiusi – in Basilicata si è deciso di ricorrere al Tar, in provincia di Lecce si è scelto di mandare una lettera direttamente al ministro Passera – ce ne saranno altri in cui gli uffici chiuderanno o sono già stati chiusi. Quale che sia la fine di questa vicenda una cosa è sicura: Poste Italiane si ritira.
Esistono due modi di guardare a questo dato di fatto da parte degli altri operatori del mercato. Il primo è quello di vedere la mossa di un concorrente che comincia ad avere il fiato corto e che deve ammettere a sé stesso di non farcela più come un tempo. Oppure si può guardare più in piccolo e notare che la decisione di Poste ha lasciato vacante uno spazio, una necessità di servizio per la gente comune. E’ un’opportunità, che aspetta solo di essere colta.