Stampa di etichette, storia di un mondo che cambia

Sono passati più di 400 anni da quando è stata stampata la prima etichetta di cui si abbia notizia. A quel tempo gli strumenti usati erano carta fatta a mano, caratteri da stampa a rilievo o immagini incise nel legno o nel metallo. Il tutto realizzato tramite l’uso di una pressa lignea e un meccanismo di torsione.

La preistoria delle etichette
Per 200 anni il processo non è cambiato; e sebbene le presse fossero nel tempo diventate di metallo e il meccanismo di torsione fosse stato sostituito da uno a leve, la carta era ancora fatta a mano. Con l’inizio del XIX secolo e l’avvento della rivoluzione industriale le cose iniziarono a cambiare radicalmente: vennero creati i primi cilindri da stampa (mossi dal vapore), nacque il procedimento di stampa offset, si diffusero i sistemi per la creazione meccanica della carta.
Nel corso del secolo arrivano anche le carte patinate, la stampa a mezzitoni e poi a colori – e tutta una serie di esigenze applicative dell’allora mercato delle etichette che riguardavano quello che noi oggi chiamiamo gli inizi dell’industria delle etichette. Queste nuove applicazioni includevano la produzione automatica di bottiglie di vetro di dimensioni standard,  le prime linee di riempimento automatico di bottiglie, le prime fabbriche conserviere, la rapida crescita di prodotti farmaceutici, le etichette su scatole e bagagli, le etichette su scatole di sigari e fiammiferi. Tutto stampato tramite offset a foglio o tramite pressa da stampa.

FIN_Early drinks label

Con l’arrivo del XX secolo ecco apparire le macchine da stampa a banda stretta per la stampa su nastro gommato o autoadesivo, innovazioni introdotte da Stan Avery che per primo utilizzò vettori di supporto per i nastri, riuscendo a farli sagomare direttamente dalla macchina. La nascita delle etichette adesive prodotte in rotoli portò i principali player a sviluppare macchine appositamente dedicate, dando vita alle prime stampanti a rullo e flessografiche.

Le autoadesive alla conquista dell’Europa
Dopo la Seconda Guerra Mondiale nuove tecnologie fecero la loro comparsa, come la stampa serigrafica a banda stretta, la stampa a caldo, gli inchiostri UV. E alla fine degli anni ’70 le etichette autoadesive avevano già occupato il 7% del mercato europeo, utilizzando processo produttivo possibile. Oggi il 40% del mercato europeo è in mano alle autoadesive, una conquista resa possibile dalla grande quantità di innovazioni tecnologiche dell’ultimo trentennio, che hanno aumentato la velocità di stampa, ampliato le possibilità, aperto il campo a strumenti rotanti e avvolgenti, dato accesso ai controlli di colore e molto altro.

Incredibilmente, solo nel 1978 apparve il primo codice a barre, utilizzato da Fine Fare Supermarket sulla propria linea di prodotti. E ci vollero altri sei anni prima che questi venissero stampati a caldo su etichette autoadesive. Oggi i codici a barre sono uno strumento imprescindibile di qualunque prodotto venga venduto in negozio in qualunque parte d’Europa.

Quasi contemporaneamente arrivarono sul mercato nuovi tipi di polipropilene e polistirene (poi polietilene), ideati per rispondere alle crescenti esigenze applicative del mercato, in particolare la richiesta di materiali di alta qualità per le etichette dei prodotti da bagno avanzate dai brand.

FIN_Fine Fare Labels 1978 edited

Tre decenni di cambiamenti evolutivi nella stampa di etichette
Per soddisfare le mutevoli esigenze di stampa di etichette, nel corso degli ultimi 30 anni la tecnologia di stampa dominante ha subito diversi cambiamenti: nel 1980 erano la tipografiche rotative a dominare. Poi è arrivata la crescita della flessografia nel corso degli anni ’90, convertitasi in flexo UV con l’arrivo del nuovo millennio. Al contempo dal 2000 in poi è iniziata l’ascesa della stampa digitale, dapprima sfruttando le tecnologie elettrofotografiche e a toner secco, quindi passando a quelle Uv e inkjet a base acqua. E all’orizzonte premono già nuove tecnologie.

Per quanto questo non debba allo stato attuale inquietare il covertitore di etichette, è in corso un lento processo di sviluppo che intende portare alla possibilità di stampare digitalmente con tecnologia inkjet direttamente su vetro, plastica o altri materiali speciali.

Quale sarà il futuro? Alcuni fattori da considerare
Allo stato attuale la sfida-chiave di ogni stampatore di etichette è decidere quando fare il prossimo investimento in tecnologia. E in che cosa investire? Sarà un’altra stampante flessografica UV o una macchina offset? O magari una combinata? Oppure si deciderà di intraprendere la via del digitale? In questo caso, inkjet o toner?

Un tempo la risposta sarebbe stata facile, oggi ci sono tanti fattori da considerare – anche scegliendo la cara e vecchia flessografia. Che impatto ambientale ha? Qual è l’ampiezza del gamut cromatico? Quanti colori può gestire? Quante stazioni di stampa ha? Quali sono le opzioni di finitura disponibili? Che tecnologia di controllo è necessaria? Qual è la velocità di output che mi serve per le mie lavorazioni? Quanto richiede il passaggio da un lavoro all’altro?  La voglio usare per le mie lavorazioni standard o intendo eseguire anche altro, come packaging flessibile, tubi laminati, astucci, sacchetti,…?

Sono tutti fattori di cui tenere conto nel momento di cui si decide l’acquisto di una nuova stampante. La tecnologia di ogni singolo produttore ha delle variazioni e bisogna scegliere attentamente quella più adeguata alle nostre esigenze.

 Passare al digitale, consigli ulteriori
Un investimento nel digitale necessita la presa in considerazione di ulteriori fattori. Si tratta di un nuovo modo di lavorare. Si tratta di miglioramenti nella gestione del colore e di scegliere se proseguire sulla via convenzionale o passare al digitale il più tardi possibile. Che velocità può essere gestita fra i diversi lavori senza ritrovarsi impantanati fra scartoffie e lavoro d’ufficio? Tutto questo richiede sistemi di gestione delle informazioni (MIS) più sofisticati e, quindi, un’altra decisione di investimento tecnologico.

Poi bisogna chiedersi quale risoluzione si desidera adottare, se è necessario deputare una delle teste di stampa all’inchiostro bianco, se la stampante scelta possiede un gamut più esteso oppure no. E quanto importante è la velocità di stampa, in particolare per le basse tirature, visto che questa è una variabile consistente fra modello e modello.

Passare al digitale significa anche decidere se si vuole un modulo di finitura in linea oppure separato. Se si sceglie di andare in linea, bisogna considerare che le fustelle potrebbero dover essere cambiate da lavoro a lavoro. E con una coda di molti lavori in bassa tiratura questo può comportare un considerevole spreco di tempo per i cambi e una riduzione della produttività giornaliera.
Andare offline significa dover investire in una linea completa, ma anche che questa potrà gestire l’output di più stampanti, andando ad accrescere la produttività.

Alternativamente si può prendere in considerazione un processo di fustellatura laser: si tratta di un investimento considerevole, ma capace di offrire notevoli benefici, visto che abbatte completamente i tempi di cambio fustelle fra un lavoro e l’altro.