Tutti a bordo, la rivoluzione 3D si sta diffondendo a macchia d’olio
Quasi inosservata e senza alcun contributo dai grandi nomi, la tecnologia 3D sta prepotentemente emergendo, spinta dalle intuizioni di ricercatori, piccole startup e singoli individui che continuano a sperimentare. Come in ogni rivoluzione tecnologica, anche questa vive dell’entusiasmo dei suoi pionieri, uomini di mezza età appassionati di tecnologia che lavorano a stretto contatto con una community open source. Queste persone, che si autodefiniscono “makers“, seguono la filosofia della produzione personale e della condivisione degli oggetti realizzati. Una sorta di utopico tentativo di rappropriazione da parte delle masse dei mezzi di produzione.
L’euforia di una nuova era, un po’ come quella che si avvertiva ai tempi delle grandi “corse all’oro” dell’Ottocento, è palpabile, nonostante diverse compagnie abbiano già scelto di abbandonare la via utopistica per unirsi al mondo delle corporate e molte altre seguiranno a breve il loro esempio.
Eppure anche la stampa 3D ha una storia. Ben prima che Internet cambiasse il mondo, erano state sviluppate tecnologie a base laser per processi industriali, ad esempio per la realizzazione di prototipi e modelli da usare nella produzione di oggetti a tiratura limitata. Diverso è il caso dei processi di stampa a iniezione standard, che bypassano il laborioso settaggio di maschere e i processi di taglio, tornitura e foratura.
Il fatto innegabile è che le ripercussioni sociali ed economiche di questa rivoluzione si fanno già sentire. In un mondo in cui il ciclo vitale di un prodotto continua a comprimersi e la varietà dell’offerta ad ampliarsi, i robt stampatori producono senza sosta oggetti complessi con una precisione che è irraggiungibile dai semplici mortali. La stampa 3D occupa già adesso un posto estremamente importante nel mercato, in particolare nei settori della produzione di utensili, di componenti di costruzione, di strumenti medici e di beni di consumo.
Per questi motivi e in occasione di K 2013 (la fiera internazionale della plastica e del caucciù) Messe Düsseldorf e VDMA hanno deciso di lanciare, lo scorso fine ottobre, 3D fab+print. L’obbiettivo è quello in futuro di far sì che tutte le principali fiere del settore lavorino sotto questo ombrello, attirandosi l’attenzione degli osservatori del mercato. Le fiere che avranno al loro interno evento a brand 3D fab+print saranno Compamed (12-14 novembre 2014), Medica (12-15 novembre 2014), Gifa, Metec, Thermoprocess e Newcast (16-20 giugno 2015) oltre, ovviamente, a drupa (31 maggio – 10 giugno 2016).
Conseguenze della rivoluzione 3D
La stampa 3D non solo va a riconfigurare, sfruttare e sostituire processi tradizionali, ma accellera l’innovazione grazie al fatto che la possibilità di creare al momento prototipi fisici e template tangibili offre molti benefici. I costi unitari della produzione di massa resteranno sempre inferiori a quelli di una produzione personalizzata; ma è possibile far sì che determinate parti marginali del processo produttivo vengano prese in carico dai consumatori stessi. Questo difficilmente andrebbe a detrimento dell’economia, dato che questi “nuovi” produttori hanno comunque bisogno di tecnologia 3D, materiali e supporto … allo stesso tempo possono nascere nuove nicchie di business, ad esempio una stampa 3D per coloro che non vogliono investire in una stampante 3D. Basta pensare all’irreale costo di un metro quadro di stoffa stampata in digitale quando questa tecnologia era all’inizio.
Il travaglio del parto
Hp è stato il primo dei grandi produttori di stampanti a entrare nel business della stampa 3D. Fra il 2010 e il 2012 la multinazionale ha stretto un accordo di partnership con Stratasys, il cui risultato sono stati le stampanti HP Designjet 3D e HP Designjet Color 3D, ora non più disponibili. Ma Ora Hp è pronta per un nuovo tentativo e il ceo Meg Whitman l’ha annunciato personalmente: “La stampa 3D è nella sua infanzia. E’ una grande opportunità e ci stiamo impegnando per sfruttarla: entro la metà del prossimo anno avremo qualcosa da mostrare“. La forza della convizione di Hp può essere discutibile, sebbene Whitman abbia sottolineato come il flusso delle entrate effettive da questo settore sia ben lontano dal fondo. La parola d’ordine è sicuramente pazienza, anche perché per ora i costi di una stampante 3D efficiente sono proibitivi per molti, così come il materiale grezzo, la cui varietà e scelta è ben lungi dall’essere quella desiderata. Senza contare che le attuali stampanti 3D lavorano a una velocità incredibilmente lenta, che Meg Whitman ha descritto così: “Per stampare una bottiglia ci vogliono dalle 8 alle 10 ore. Interessante, ma sembra di veder crescere l’erba“.
La speranza che questi “dolori del parto” saranno presto semplice passato sembra però giustificata. Non si tratta di una tecnologia che alimenta qualche chimera, ma di qualcosa che sta dando il via a una rivoluzione produttiva. In questo momento la stampa 3D è limitata alle sole taglierine laser per il CAD, ai torni e alle macchine a iniezione; ma si sa, le nuove idee prima o poi espandono i loro benefici a tutti i settori.
Tipografia, offset e digitale sono i tre pilastri delle tecnologie di stampa; aggiungere il 3D come quarto è la mossa giusta da fare. Senza mezze misure. Bisogna cantarne le lodi nelle scuole, nei corsi di formazione, nelle associazioni e nelle aziende. Gli shop online stampano sugli oggetti più strani e disparati, dalle palle di Natale alle tazze per il caffe. La realizzazione di oggetti a misura di cliente, con infrastrutture e personale specializzato già presenti, è quella che offre le maggiori probabilità di guadagni profumati. E’ tempo di definire e affinare modelli di business, poiché chi semina raccoglie. A dare un quadro delle possibilità immense del settore bastano le quote di Stratasys: dieci anni fa ognuna valeva 7.58 dollari, oggi sono a 114 dollari l’una e ben lungi dal fermarsi.
Ricerche di mercato
Entrare nel mondo della stampa 3D è relativamente semplice. I set per principianti costano circa 300 euro, quelli professionali partono da 3.000 euro. I prezzi di queste macchine, usate per scopi industriali, sono sotto grande pressione. Come per il 2D, anche qui le macchine si sono già divise in tre categorie principali: per uso privato, per uso professionale e per uso industriale. Attualmente sono 24 i produttori di stampanti per la fascia più bassa, quasi tutti ispirati dal RepRap project, ideato da Adrian Bowyer, professore di ricerca evolutiva presso la Bath University (Inghilterra).
RepRap sta per Replicating Rapid-Prototyper ed è una stampante che è stata resa di pubblico dominio con licenza GNU allo scopo di ottenere una rapida proliferazione e miglioramento. La medesima strada è stata scelta da produttori quali Ultimaker e Makibox. Il più noto produttore americano, Makerbot, era anch’egli un no-profit fino al 2013, quando è stato acquistato da Stratasys; non a caso l’ultimo modello lanciato, il Replicator 2, non ha nulla in comune coi precedenti e con la matrice RepRap.
Anche il produttore inglese Bits from Bytes è stato assorbito. Partito anch’essa dal repRap, nell’ottobre 2010 è stato inglobato dal principale produttore per il settore consumer, l’americano 3D Systems. L’azienda con sede nella Sud Carolina è in piena espansione, al punto da aver saturato il proprio sito produttivo e da doverne aprire un secondo, che creerà 133 posti di lavoro.
Nel settore professional Stratasys è l’indiscusso leader, presente con sedi principali tanto in America quanto in Israele, nonché con sei filiali nel mondo, una delle quali in Germania. La gamma di prodotti spazia dalle stampanti desktop ai grandi sistemi che rappresentano lo stato dell’arte del settore. L’offerta di materiali di stampa conta oggi oltre 150 possibilità, il range più ampio del settore.
La tedesca Laser Sintering invece è il principale produttore per il settore industriale. Fondata nel 1989 da Hans J. Langer e Hans Steinbichler, annovera fra i suoi clienti MTU, EADS, Daimler e BMW.
In parole povere, le stampanti 3D oggi sono in grado, indipendentemente dalla fascia a cui appartengono, di svolgere molti lavori plausibili e anche alcuni finora impensabili.
Un principio, molti processi
La stampa 3D, nota anche come “prototipazione rapida” o “produzione additiva”, si basa sul principio di stratificazione, un processo additivo per cui gli oggetti da stampare sono costruiti strato dopo strato da varie sostanze liquide o polverulenti. In corso d’opera avvengono diversi processi di tipo fisico e chimico che comportano fusione e indurimento delle sostanza coinvolte. Per questi motivi i principali materiali usati sono resine, metalli, plastica, ceramica e carta.
I produttori utilizzano attualmente una serie di processi di stampa 3D, che nella loro applicazione sono fondamentalmente uguali, tranne che per alcune variazioni brevettate. Tra i processi più importanti ci sono la fusione selettiva laser, la fusione per metalli tramite fascio di elettroni, la sinterizzazione laser selettiva per la plastica, la stereolitografia, il Digital Light Processing, la modellazione Polyjet per fotopolimeri, e infine il Fused Deposition Modeling per termoplastici.
La maggior parte delle stampanti è in gradi di processare un solo materiale o una sola miscela alla volta. Sono però già in corso studi e test per utilizzare diverse gradazioni di durezza di uno stesso materiale durante il processo, così come tentativi di usare differenti materiali in contemporanea. Stratasys è proprietaria di un brevetto di una versione speciale della stratificazione a fusione e ha ideato il sistema del Fused Deposition Modeling. Quest’ultimo sfrutta una miscela semiliquida di crylnitril-butadiene-stirolo termoplastico, che viene accumulato strato su strato tramite un ugello a spruzzo fino all’ottenimento della forma finale desiderata. I fotopolimeri usati dalla tecnica Polyjet si solidificano immediatamente sotto l’esposizione della luce UV, diventando indistinguibili dal materiale creato tramite fusione.
di Andrea Köhn, Bötel Graphic Communication