Ci salverà la Servitization?

Da tempo si parla di “Servitization”, sembra che la panacea di tutti i mali delle aziende sia quella di trasformarsi da venditori di prodotti in venditori di servizi, il prodotto in bundle nei servizi. Alcuni pongono come base del ragionamento il fatto che i prodotti sono diventati delle “facilities” e che solo il servizio possa fare la differenza, porsi come fattore competitivo. La speranza è quella di recuperare il “margine” che il mercato ha eroso dalla vendita di prodotti, vendendo servizi. Qualcuno, ma forse era solo un economista dallo spirito ecologico, nel bundle prodotto servizi ha incluso come driver l’impatto ambientale.

Il problema è che molto spesso chi fa questi ragionamenti è nato e cresciuto in aziende manifatturiere che per loro natura hanno una cultura “product-centric”, mentre le aziende di servizi hanno una cultura “customer-centric”, chi fa servizi deve necessariamente essere “customer oriented”. La maggior parte delle aziende manifatturiere ha una organizzazione ritagliata per vendere prodotti e si affida a Manager “product centric” per vendere servizi o per riorganizzare l’azienda in “customer centric”. Chi ha come missione quella di offrire servizi ai Clienti non si preoccupa di quali prodotti debba utilizzare per supportare il Cliente, si preoccupa di comprendere quali sono le esigenze del Cliente e, se ne è capace, si sforza di offrire una soluzione “tailor-made “, ritagliata sulle specifiche esigenze del Cliente, quali che siano. Per farlo recupera quello che pensa meglio dal mercato.

Se volessimo rappresentare graficamente quello che è successo nel mondo IT avremmo:

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Se volessimo aggiornare il grafico potremmo proseguire aggiungendovi “Servitization”.Riflettendo però potremmo disegnare anche un altro grafico

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Fino agli anni ’80 i costi del service erano annegati nei prodotti, non si parlava di profitti, le direzioni commerciali delle grandi aziende consideravano i servizi “un male necessario”. Pensandoci bene avevano ragione, vendere un prodotto richiede la capacità di evidenziarne le caratteristiche, negoziare un prezzo, un po’ di sconto non si nega a nessuno, ed è fatta. Non voglio dire che sia semplice ma è una attività che termina una volta fornito il prodotto. Una vendita transazionale. Gestire un servizio richiede la comprensione delle necessità del Cliente, l’adattamento della propria organizzazione alle sue necessità, investimenti in risorse umane, materiali, macchinari, strumenti di gestione ed il mantenimento nel tempo di tutto questo. E’ una vendita relazionale. Potremmo dire che la vendita di servizi è “relationship-oriented” è sicuramente positiva se il Cliente è soddisfatto del servizio reso, rendendolo disponibile a continuare la relazione. E’ vero anche che i servizi sono intangibili e spesso si palesano al Cliente solo quando le cose vanno male, è l’eccezione, la variazione alla normalità, che viene ricordata come metro di servizio dai Clienti.

Nella vendita il margine è certo, nei servizi no.
A partire dagli anni ’90 nel mondo IT si era promosso il “service” a ruolo di generatore di profitto, apparentemente una grande conquista per chi lavorava nel service, in realtà le aziende stavano cercando di recuperare il margine che non riuscivano più a generare attraverso la vendita del prodotto. La legge di Moore ci insegnava che la tecnologia viaggiava veloce nel tempo, risultato i prodotti di qualità non erano più appannaggio di pochi.

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Fare servizi però richiedeva investimenti e generava costi, da qui la scelta dell’outsourcing. Dapprima esternalizzando le attività considerate a basso valore aggiunto, nel mondo IT i laboratori di riparazione e l’assistenza sulle periferiche e sui personal computer. La pressione sui costi continuava a crescere e per tagliare i costi di struttura si è arrivati ad esternalizzare la rete di assistenza tecnica. All’inizio di questo processo la cosa aveva anche funzionato, l’azienda aveva esternalizzato strutture composte da persone da essa stessa formate, che si dovevano inventare un lavoro. Nascevano i TPM (Third party Maintenance), costi di struttura più bassi, meno vincoli amministrativi e processi decisionali più corti. Senza contare che chi esternalizzava trasformava costi fissi in costi variabili. L’evoluzione tecnologica non ha però aiutato i TPM, i prodotti si guastano molto meno ed il loro ciclo di vita è molto più breve, risultato, il mercato si stringe e si rischia di non riuscire ad ammortizzare gli investimenti, il prodotto e quindi l’esigenza del servizio, è a fine vita prima del break even.

Gli stessi TPM si sono ritrovati in affanno dal punto di vista finanziario, il mercato li ha costretti ad abbassare sempre di più i prezzi, avendo margini di profitto risicati sono costantemente alla ricerca di volumi per mantenere viva la loro struttura e costretti a tagliare i costi. Il costo più alto in una organizzazione di servizi è quello del personale e tagliare i costi del personale significa ridurre la qualità del servizio erogato. Il fatto di dipendere in toto da altri, ha tolto alle aziende che hanno seguito questa logica, l’assillo dei costi di struttura, dell’efficientamento, della produttività e della obsolescenza dei materiali ed invecchiamento delle risorse, ma nel caso di una offerta servizi questo plus si può trasformare in un minus habens, chi ha una organizzazione diretta, seguendo la logica del margine di contribuzione, può abbassare i propri costi, ha l’occasione di saturare l’impegno della propria struttura, chi compra tutto all’esterno non ha spazi per ridurre i costi e quindi il proprio prezzo.

I responsabili della direzione servizi sono combattuti tra un modello e l’altro, chi vuole “qualità” cerca di mantenere viva una propria organizzazione diretta, segmentando l’attività, gestendo direttamente l’attività ad alto valore aggiunto, il “core business”, ed esternalizzando l’attività a basso valore aggiunto. I Produttori cercano di salvaguardare i propri margini vendendo i prodotti affogandoli nei servizi, con la conseguenza che il prezzo del servizio è diventato il prezzo da vincere per portare a casa il Cliente. Se guardiamo le “Request For Proposal” delle grandi aziende ci ritroviamo richieste di servizi che includono prodotti, le gare si vincono se si ha il prodotto giusto (facility), il servizio giusto ed il prezzo più basso, siamo punto e a capo.

L’impressione è che quando si parla di servizi si pensi al WEB, alle APP e chi ci pensa viva in un mondo virtuale, intangibile. Questo non aiuta però chi vive in un mondo tangibile, è vero che molte attività di supporto si possono fare remotamente, collegandosi alla macchina del Cliente, questo non è vero quando bisogna intervenire direttamente sulla macchina, e qui pesi e volumi fanno ancora la differenza. La sostituzione di un Bancomat del peso di una tonnellata o di una multifunzione del peso di 100kg non si può fare mandandoci un corriere espresso. Per riparare un Bancomat bisogna avere conoscenze di meccanica ed una formazione sistemistica per mettere le mani sul Client installato a bordo.

Si bada solo al prezzo, a volte perché non si comprendono i meccanismi che ci sono dietro a volte perché si è cresciuti managerialmente nell’era dell’intangibile. Morale trovo difficile risolvere questa equazione: Soluzione ai problemi in tempo reale + Alto livello di professionalità + Distribuzione geografica capillare + Flessibilità = Costi bassi. Tutto quanto sopra naturalmente non è l’opinione di un cattedratico ma di chi tutte queste cose le ha vissute sulla propria pelle e che deve sbrigliarsela quotidianamente tra qualità e conto economico.

Questo articolo fa parte dell’Angolo del Service, la rubrica di DDm tenuta in collaborazione con AFSMI, l’Italy Chapter dell’Association For Services Management International, riferimento nazionale per tutti i Manager e Professionisti che operano nel mondo del Service Management. DDm si avvale della competenza degli associati AFSMI, come l’autore del presente articolo, Piergiovanni Callegari.
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